La strage di Portella della Ginestra. Nuovo blog nicoloscialfa.it

La strage di Portella della Ginestra

Primo maggio 1947, a Portella della Ginestra, dietro Palermo, circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riuniscono per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana. Durante il regime fascista il primo maggio non si festeggiava, era stato sostituito dal Natale di Roma, 21 aprile. All’improvviso dal monte Pelavet partono raffiche di mitra. Dopo un quarto d’ora sul terreno si trovano undici morti (otto adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni moriranno in seguito per le ferite riportate. Nei giorni successivi vengono bersagliate a colpi di mitra e bombe a mano le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando un morto e numerosi feriti. Gli attentati vengono rivendicati dal bandito Salvatore Giuliano che invita la popolazione al combattimento contro i comunisti. Alcuni mesi dopo si saprà che a sparare sui contadini a Portella della Ginestra erano stati gli uomini dello stesso Giuliano che verrà ucciso il 5 luglio 1950. Il bandito Gaspare Pisciotta si attribuisce l’omicidio di Giuliano e lancia pesanti accuse contro esponenti politici importanti della DC, in particolare Mario Scelba, a suo dire in combutta con Giuliano nell’organizzazione della strage. Le opposizioni danno battaglia. Il comunista Girolamo Li Causi, deputato comunista, sostiene di aver detto a Giuliano: “ma lo capisci che Scelba ti farà ammazzare? Perché non ti affidi alla giustizia, perché continui ad ammazzare i carabinieri che sono figli del popolo come te?”. Giuliano risponde:”Lo so che Scelba vuol farmi uccidere perché lo tengo nell’incubo di fargli gravare grandi responsabilità che possono distruggere la sua carriera politica e finirne la vita”. Secondo lo storico Nicola Tranfaglia a Portella della Ginestra spararono anche dei lanciagranate in dotazione alla Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, cooptata dai servizi segreti USA preoccupati dell’avanzata social-comunista in Italia.

Il 10 marzo 1948, nelle campagne vicino Corleone, viene ucciso Placido Rizzotto, ex partigiano delle Brigate Garibaldi e sindacalista della Cgil, iscritto al Psi. Rizzotto, coraggioso e audace, è uno dei maggiori dirigenti del movimento contadino siciliano e guida diverse occupazioni di terre incolte. Il mandante del suo assassinio è il dottor Michele Navarra, capo del clan dei corleonesi, e tra gli esecutori materiali del delitto vi è sicuramente Luciano Liggio, allora luogotenente di Navarra. Il cadavere del sindacalista socialista viene ritrovato nel 2009 e, grazie all’esame del DNA, comparato con quello del padre, si ha la certezza che i resti sono quelli di Placido Rizzotto.

Ciò che è certo che a Portella della Ginestra i latifondisti, legati alla mafia, vogliono mandare un messaggio chiaro ai contadini e al movimento sindacale: questa terra è “cosa nostra”; inoltre, sia pur avvolta ancora da nebbia e fumo, una verità storica inizia ad emergere con forza: il predominio di americani ed inglesi sul territorio italiano. Il nostro Paese era ed è rimasto uno Stato a sovranità limìtata. Molti misteri della Storia d’Italia sono in parte comprensibili in una visione globale che ci vede come Paese sconfitto e sottomesso ad altri. Ogni volta che qualche uomo politico ha provato ad alzare la testa è stato immediatamente eliminato con la violenza o col pubblico disprezzo.

Film sulla strage

Francesco Rosi, Salvatore Giuliano (1962)

Michel Cimino, Il siciliano (1987)

Paolo Benvenuti, Segreti di Stato (2003)

Libri sulla strage

Pietro Orsatti, Il bandito della guerra fredda, Imprimatur, 2017

Giuseppe Cassaburea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, 2005

Lariano Machiavelli, Noi che gridammo al vento, Einaudi, 2016

J.V.

Il padrino

Il padrino

Gli farò un’offerta che non può rifiutare
(Vito Corleone)

Il padrino (The Godfather) è un film del 1972, prima pellicola della trilogia omonima firmata dal regista Francis Ford Coppola, liberamente ispirata al romanzo omonimo scritto da Mario Puzo.
Nel 1974 esce la seconda parte e poi nel 1990 la terza.

* Marlon Brando: don Vito Corleone
* Al Pacino: Michael Corleone
* Robert De Niro: Vito Corleone giovane
* James Caan: Santino Corleone
* Richard S. Castellano: Peter Clemenza
* Robert Duvall: Tom Hagen
* Sterling Hayden: Mark McCluskey
* John Marley: Jack Woltz
* Richard Conte: Emilio Barzini
* Al Lettieri: Virgil Sollozzo
* Diane Keaton: Kay Adams
* Abe Vigoda: Salvatore Tessio.
* Talia Shire: Constanzia Corleone
* Gianni Russo: Carlo Rizzi
* John Cazale: Fredo Corleone
* Rudy Bond: Carmine Cuneo
* Al Martino: Johnny Fontane
* Morgana King: Carmela Corleone
* Lenny Montana: Luca Brasi
* John Martino: Paulie Gatto
* Salvatore Corsitto: Amerigo Bonasera
* Richard Bright: Al Neri

Capolavoro assoluto. Secondo alcuni il miglior film della storia del cinema e comunque ai primi posti in ogni classifica, acclamato da critica e pubblico in tutto il mondo. Alla sua uscita negli Stati Uniti il film incassa 135 milioni di dollari, frantumando il record del kolossal Via col vento. La pellicola fece riemergere la Paramount Pictures da una difficile situazione economica e consacrò il regista Francis Ford Coppola e il cast composto da Marlon Brando, Al Pacino, Robert Duvall e James Caan. Il film fu premiato con tre premi Oscar, su 10 nomination. Insieme al suo seguito è considerato una pietra miliare della storia del cinema.

Tratto dal best-seller di Mario Puzo ha avuto successivamente due sequel (ottimo il Padrino II, medio il III). Brando con le guance gonfiate e la voce roca, un giovane Al Pacino apparentemente mite e in realtà già futuro capo naturale della famiglia, la musica meravigliosa di Nino Rota, nostalgia della Sicilia, tragedia greca allo stato puro. Il Padrino è un’opera sempre attuale e coinvolgente al punto da spingerci a dimenticare che i protagonisti sono feroci criminali.
Fiumi di parole sono stati spesi per letture “politicamente corrette” poco centrate. In realtà il film va visto, a mio parere, come una imponente e terribile tragedia greca nella quale non troviamo vincitori ma soltanto sconfitti. È vero invece che un tale capolavoro poteva girarlo soltanto un talento come Coppola, intriso fortemente di “cultura siciliana”. La sua è una terribile riflessione sulla natura umana e sulla mancanza di speranza. Don Vito piange silenziosamente quando gli riferiscono che suo figlio Michael ha ucciso Sollozzo e McCluskey perché questo significa che anche lui diventerà un criminale invece che “un pezzo da novanta” della società “onesta e rispettabile”. I dialoghi tra l’anziano boss e il figlio sono la chiave di tutto. Senza ipocrisie Don Vito esprime la sua visione della società americana e spiega il perché della sua scelta criminale, dallo sterminio della sua famiglia ad opera di Don Ciccio (col quale farà i conti in seguito) al viaggio per arrivare a New York (l’arrivo della nave nel porto americano è una delle scene più belle e toccanti), il suo tentativo subito abortito a causa di un ingiusto licenziamento di costruirsi una vita modesta e dignitosa con la giovane moglie, il passaggio alla criminalità organizzata della quale diventerà un capo in breve tempo. Carisma, pacatezza, uso spietato della forza, silenzi o parole misurate, comprensione dei meccanismi dell’ipocrita e moralista società americana, lo portano in pochi anni a stringere alleanze con malavitosi importanti e senatori e deputati che lui tiene “nella manica”. Magistrale la sequenza iniziale del matrimonio di Costanza nella quale ad uno ad uno vengono presentati i protagonisti, dall’incazzoso Sonny al derelitto Fredo, il soldato Michael e la fidanzata Kay Adams, il fratello adottato Tom Hagen, avvocato e consigliere della famiglia. E poi Luca Brasi, killer tanto spietato quanto fedele a Don Vito, il cantante famoso Fontane nel quale molti vedono Frank Sinatra, Clemenza, Tessio, Don Barresi, Tattaglia e gli altri capifamiglia. Nel corso della festa nuziale Don Corleone risolve importanti questioni dimostrando accortezza, sagacia, prudenza e uso calcolato della forza come un qualsiasi assennato uomo di potere. Al becchino Bonasera che vuole vendetta per la figlia stuprata, Vito ricorda che lui ha scelto la società americana perbenista rifuggendo i contatti con la famiglia Corleone; l’impresario di pompe funebri, pur di avere vendetta, bacia la mano al padrino. Così inizia il film e poi si snoda su scene meravigliose che rievocano il mondo del secondo dopoguerra. Da antologia la sequenza nella quale Michael uccide Sollozzo e il capitano di polizia dentro il ristorante. Poi viene portato in Sicilia e qui incontra Apollonia, la sposa e la vede saltare in aria al suo posto. Rientra in America, sposa la vecchia fidanzata americana, regola i conti con i nemici della famiglia durante il battesimo del figlio di Constanzia e Rizzi (il neonato è Sophia Coppola). Mentre il prete recita la frase di rito “rinunci a Satana” e Michael risponde sì, i suoi killer uccidono Barresi e gli altri. Poi toccherà al genero subire la vendetta dei Corleone. La prima parte si chiude con Kay che chiede al marito se sia vero che è lui il mandante della morte del cognato. Memorabile la risposta negativa e la porta che si chiude davanti a Kay mentre Clemenza bacia la mano al nuovo padrino.
Un’altra porta si chiuderà in faccia all’ingenua (forse troppo) moglie americana nella seconda parte, quando cercherà di vedere i propri figli. Ma il nuovo padrino, malgrado gli sforzi compiuti per legalizzare le proprie attività, sarà sempre più solo e spietato al punto di far uccidere il fratello Fredo colpevole di averlo tradito. Il giorno del funerale della madre, Fredo viene eliminato. Forse persino Eschilo avrebbe da imparare qualcosa. Stupenda la ricostruzione di little Italy, l’apprendimento criminale del giovane Vito (Robert De Niro), la liquidazione del violento e sguaiato guappo napoletano Fanucci nel corso della processione, il colloquio divertente con Roberto, tanto iroso quanto pavido. E poi Cuba, Himan Roth, Las Vegas, il Nevada, senatori corrotti, crescenti dubbi del padrino… tutto girato con maestria e talento infiniti.
La terza parte, uscita nel 1990, è la più debole un po’ per la confusione dei temi narrativi legati al Vaticano e agli scandali finanziari, alla morte del papa e allo IOR, un po’ perché Coppola accetta di girare il film per rimediare al disastro di “Un sogno lungo un giorno”. Non mancano comunque momenti di grande cinema soprattutto nelle scene finali girate sulla scala del teatro Massimo di Palermo… morte della figlia al posto del padre a causa di un attentato. Il tutto scandito dalle note di “Cavalleria rusticana”.
Complessivamente siamo di fronte, lo ripeto, ad una pezzo di storia del cinema… forse il film più riuscito della seconda metà del secolo scorso.

J.V.

Placido Rizzotto

Placido Rizzotto

Nasce a Corleone il 2 gennaio 1914, primo di sette figli e perde la madre da bambino. Il padre viene arrestato perché accusato di far parte di un’associazione mafiosa e Placido deve abbandonare la scuola per occuparsi dei fratelli. Combatte nella seconda guerra mondiale sui monti della Carnia col grado di sergente.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre si unisce ai partigiani delle Brigate Garibaldi come militante socialista. Alla fine della guerra torna a Corleone e inizia l’attività politica e sindacale, ricoprendo l’incarico di Presidente dei reduci e combattenti dell’ANPI di Palermo e quello di segretario della Camera del lavoro di Corleone.
Esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della CGIL.
Viene rapito nella serata del 10 marzo 1948 e ucciso dalla mafia per il suo impegno a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre. Il pastorello Giuseppe Letizia assiste involontariamente al suo omicidio e per questo viene ucciso con un’iniezione letale dal boss e medico Michele Navarra, mandante dell’omicidio di Placido Rizzotto.
Le indagini vengono condotte dall’allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vengono arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammettono di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio. Verranno tutti assolti per insufficienza di prove.
Il 16 marzo 2012 il Consiglio dei Ministri decide di celebrare i Funerali di Stato per Placido Rizzotto, svolti a Corleone il 24 maggio dello stesso anno alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Placido Rizzotto è stato un uomo coraggioso, capace, equilibrato, serio ed intelligente. Ha pagato con la vita il suo amore per la Sicilia e per la libertà, la vera democrazia, il lavoro e l’istruzione come emancipazione sociale.

Pasquale Scimeca nel 2000 gira il film su Placido Rizzotto
Marcello Mazzarella: Placido Rizzotto
Vincenzo Albanese: Luciano Liggio
Carmelo Di Mazzarelli: Carmelo Rizzotto
Gioia Spaziani: Lia
Arturo Todaro: Carlo Alberto Dalla Chiesa
Emanuele Antonio: Placido Rizzotto (bambino)
David Coco: Pio La Torre

La figura del sindacalista viene citata anche nello sceneggiato televisivo “Il capo dei capi” e nel film “La mafia uccide solo d’estate”.

J.V.