I regni germanici

I regni germanici

476, lo sciro Odoacre depone Romolo Augustolo imperatore fanciullo d’Occidente e invia le insegne imperiali a Zenone, sovrano della parte orientale. Spartiacque tra antichità e Medioevo. Visione suggestiva di decadenza e novità Germano-cristiana. Cattedre universitarie conseguenti. Ancora valida? Ni… Tardoantico da 180 morte di Marco Aurelio al 640 irruzione islamica nel Mediterraneo. Crisi della complessa macchina imperiale. Inefficienza e corruzione distruggono le riforme dei Severi e di Diocleziano e Costantino poi. Condominio consensuale tra Romani e Barbari. Resistenza da un lato ma anche assimilazione culturale con l’eccezione della Britannia. Ruolo preponderante della Chiesa e democratizzazione della cultura latina. Barbaritas giovane contrapposta a Romanitas vecchia. Crisi politico-militare del V secolo, crollo della frontiera renana, invasione delle Gallie. Crisi italiana. Ultimo baluardo le imprese di Stilicone ed Aezio. Principes pueri Onorio e Arcadio non adatti a fronteggiare la situazione. Repressione e integrazione e sistema della Hospitalitas. Salta in aria l’apparato fiscale. Nascita sofferta dei regni germanici come eredità istituzionale imperiale. Continuità legislativa con Edictum Theodorici regis al quale segue la Lex Romana Burgundiorum. Principio di convivenza con Teodorico, re illuminato. Azione intelligente di Cassiodoro. Sovranità guerriera dei Franchi e Lex Salica. Formazione di nuove aristocrazie e conversioni alla nuova fede: Visigoti con Recaredo in Iberia nel 589, Clodoveo in Gallia nel 506. In Italia dopo il regno Goto di Teodorico (493-526), inizia una lunga e terribile guerra voluta da Giustiniano per riconquistare la penisola. Arianesimo goto usato ideologicamente dai greci. Goti visti come barbari incivilì malgrado il regno teodoriciano si fosse distinto per capacità di moderazione ed integrazione. Guerra orrenda e devastatrice. A Gualdo Tadino nel 552 l’esercito ostrogoto di Totila viene distrutto. Narsete padrone della penisola. Italia in ginocchio. Pochi anni dopo cade ai piedi dei guerrieri longobardi guidati da Alboino. Vengono dalla Pannonia, entrano a Cividale, invadono la valpadana, si insediano nel mezzogiorno. Clefi, Autari, Agilulfo governano su una pelle di leopardo erodendo i territori bizantini. Fare (associazioni in marcia, dal tedesco fahren, marciare) e Ducati, insofferenti verso l’autorità regia longobarda. Organizzazione politico-militare e assimilazione religiosa con Teodolinda, moglie di due re, Autari e Agilulfo, e madre di un terzo, Adaloaldo. Editto di Rotari e fondazione del monastero di Bobbio grazie a San Colombano. Formazione di una nuova intellettualità longobarda cristianizzata culminante nel passaggio al cattolicesimo con Ariperto e Liutprando. Costantino IV nel 680 conclude un armistizio col re Perctarit riconoscendo così il regno longobardo. Intanto i pontefici romani acquisiscono maggiore autonomia a Roma e dintorni tanto dai bizantini quanto dai longobardi. Rapporti precari con Liutprando e Astolfo sino a quando papa Stefano II non decide la svolta: alleanza con Pipino, re dei Franchi. 754 Pipino costringe Astolfo a restituire i territori conquistati. Due anni dopo Desiderio, ultimo re longobardo, provoca l’intervento di Carlo. 774 fine del regno e deportazione di Desiderio. Echi Manzoniani precisi sul significato della Storia d’Italia. Polemiche storiografiche: longobardi aggreganti o disgreganti? Tesi della transizione morbida e ricerca delle lontane radici delle identità nazionali. Soltanto così può spiegarsi la Renovatio Imperii di Carlomagno. Essa non nasce dal nulla ma è figlia dell’apparato simbolico-ideologico dei regni romano-barbarici.

Una succinta, e spero utile, mappa.

Regno dei Visigoti di Tolosa. 419-507. Vallia, fratello di Alarico.

Regno dei Visigoti di Spagna 507-711. Vinti dagli Arabi

Regno dei Vandali in Africa. 429-534. Genserico. Unico popolo barbaro navigatore.

Regno dei Burgundi 443-534. Gundahar, il Gunther della saga nibelungica. Stanziati tra la Savona e il Rodano.

Regno degli Ostrogoti 493-553. Capitale Ravenna. Teodorico degli Amali.

Regno dei Longobardi 568-774

Regno dei Franchi 482. Clodoveo. Dal 679 ascesa carolingia con Pipino di Heristal.

J.V.

Attila. Dal primo giugno sarà operativo soltanto nicoloscialfa.it

Attila

Damnatio memoriae a distanza di quindici secoli. “Dove passa non cresce più l’erba… Flagello di Dio”. Genio incompreso, stratega spietato, mostro diabolico… Conosciamo Attila attraverso gli scrittori romani che assistono impotenti al crollo dell’Impero. Mondo delle steppe e dei Nomadi (Dal gr. nomás -ádos ‘che si sposta in cerca di pascoli’, dal tema di némō ‘pascolo’). Importanza del cavallo e della iurta. 376 gli Unni fanno crollare i regni ostrogoto e visigoto. Teoria della migrazione a spinta. Nell’autunno del 376 l’imperatore Valente accorda ai Goti l’autorizzazione ad attraversare il Danubio nella speranza di reclutare così nuovi soldati. Comportamento scellerato dei funzionari romani. Reazione violenta dei Goti e conclusione tragica ad Adrianopoli il 9 agosto 378. Un grande vantaggio per gli Unni che prendono coscienza della debolezza dell’Impero Romano. Catastrofe burgunda nel 435 ad opera di Ezio cantata nel celebre Nibelungenlied dove dietro il nome di Etzel possiamo riconoscere Attila. Intorno al 445 il regno congiunto dei capi Unni Bleda e Attila si trova in una zona corrispondente all’attuale Valacchia. Superiorità militare dovuta all’arco a doppia curvatura, alla fuga simulata, al carro e alle donne guerriere. Bleda assassinato, Attila unico re. “Superbo nel procedere, saettando gli occhi ora da una parte ora dall’altra, rivelava l’orgoglio della sua potenza persino nei movimenti del corpo. Amava le battaglie ma era in grado di padroneggiare durante l’azione; eccelleva nelle decisioni; si lasciava piegare dalle suppliche; benigno una volta che avesse accordato la sua protezione. Basso di statura, largo di petto, piuttosto grosso di testa, aveva occhi piccoli, barba non fitta, capelli grigi, naso camuso, una carnagione tetra: i segni caratteristici della sua razza”. (Jordanes, Getica, XXXV)

Violenza calcolata e uso sapiente del terrore. Predatore, stratega e politico. Galla Placidia, Onoria e presunta richiesta di matrimonio. Grazie ad una sordida vendetta familiare il barbaro trova un pretesto. Il 20 giugno 451 Ezio lo blocca ai Campi Catalaunuci. Leone III baratta con l’oro la sua ritirata due anni dopo. Frankenstein del V secolo, crani come coppe di vino, violenza terroristica calcolata. Gli Unni sanciscono la fine della pars occidens. Sopravvive l’Oriente. Ezio ultimo dei romani. Cultura ungherese segnata da Attila, padre fondatore, equivalente pannonico di Vercingetorige. Mattia Corvino si ispira a lui come monarca ideale nel XV secolo. Attila scandinavo e Volsungar. Mostro di violenza assoluta per Corneille, eroe paradossale per Voltaire, condottiero nazionale per Verdi, mito eterno per Wagner, Ludwig. Neopaganesimo e sciamanesimo hitleriani errori fondamentali a Stalingrado e inizio della catastrofe.

Inglesi della RAF convinti di abbattere gli Unni. Ragnarok e incendio finale nel bunker. Attila e Sigfrido, atmosfera magico-pagana, violenza omicida delle donne, sete dell’oro, sessualità pregenitale di onnipotenza, convinzione di immortalità. Mito wagneriano, neopaganesimo seducente al punto di far interpretare ad Hitler l’Attila mitico sino alla catastrofe europea. Attila redivivo nell’Illyricum Romano in Bosnia e Serbia attuali. La lacerazione è ancora lì.

J.V.

Il Delitto Matteotti. Dal primo giugno sarà operativo soltanto nicoloscialfa.it

Il Delitto Matteotti

Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, onorevole socialista, uomo di spicco delle opposizioni parlamentari al Fascismo, viene sequestrato e ucciso.

Un passo indietro: il 30 maggio, alla riapertura della Camera, dopo le elezioni del 6 aprile, Matteotti chiede la parola e il suo discorso, interrotto continuamente dai fascisti e dal Presidente Alfredo Rocco, colpisce per durezza, precisione e rigore; un aspro atto d’accusa sull’utilizzazione della violenza da parte di Mussolini e del suo governo. Lo stesso parlamentare, consapevole del rischio che sta correndo, dice a voce alta all’on. Cosattini:”Ed ora preparatevi a farmi l’elogio funebre”. Del resto già Amendola e Nitti, tra gli altri, avevano subito aggressioni. In un’atmosfera infuocata si giunge al pomeriggio del 10 giugno quando 5 uomini sequestrano Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia di fronte ad un ragazzo di 12 anni e al portinaio di una casa vicina. Si comprende subito che si tratta di un assassinio. Mussolini pronuncia un imbarazzato discorso alla Camera il 12; sapeva già tutto, dal momento che Dumini, il capo della banda, aveva già riferito al suo segretario particolare Fasciolo. Secondo Gaetano Salvemini Il Duce era addirittura il mandante dell’omicidio. Questa tesi è stata confutata da Renzo De Felice secondo il quale i suoi collaboratori avrebbero attuato il disegno criminale andando oltre le intenzioni del Presidente del Consiglio. È possibile che il vero movente non sia stata soltanto la dura reprimenda sulle violenze fasciste ma soprattutto la minaccia paventata da Matteotti, esperto di questioni finanziarie, di denunciare loschi affari che coinvolgevano il Duce in persona. Personalmente credo, da persona dotata di normale buon senso e che ha studiato la questione, che Mussolini non potesse, come minimo, non sapere. Gravi poi le responsabilità della Corona, perché Vittorio Emanuele III non chiese le dimissioni del Governo di fronte a fatti di inaudita gravità. Il 27 giugno si costituisce la secessione dell’Aventino con i nefasti esiti che tutti conosciamo. Il Fascismo poteva essere fermato e purtroppo questo non avvenne. Mussolini, scampato il pericolo, si rafforza e dal 1925, grazie alle divisioni e alle incertezze delle opposizioni, inizierà la dittatura vera e propria. Riporto un breve passo del suo discorso alla Camera del 3 gennaio 1925: “Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.

Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!

Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi.”

“La causa del delitto non va ricercata in sole ragioni politiche ma nella necessità di far tacere l’onorevole Matteotti che si era prefisso di sollevare uno scandalo a carico di gruppi finanziari in rapporti con uomini politici.” (Epifanio Pennetta, capo della polizia giudiziaria durante l’istruttoria del processo Matteotti, giugno 1924)

Questi i fatti… non aggiungo altro.

J.V.

Europa. Ricordo che alla fine di maggio resterà operativo soltanto nicoloscialfa.it

Europa

Sento parlare spesso di Europa… Un tempo era sinonimo di Cristianità. Nel XVIII secolo Novalis identifica la Cristianita con l’unità e quindi con l’Europa. Per Curtius è Romania e solo grandi opere come la Commedia o il Faust la rappresentano culturalmente in una logica unitaria e sovranazionale. Per Novalis e Curtius la radice del Male è lo Stato nazionale moderno. Così sarà poi anche per Eliot. Stato nazionale come anti Europa. Se esistono gli Stati non esiste l’Europa e viceversa. Se tramonta il grande disegno Cristiano l’Europa diviene semplice materia, perde l’anima, perde il senso. Altri invece sostengono che la complessità apporta senso e che il policentrismo è un vantaggio; la genesi della tragedia barocca offre significato. Nella tragedia barocca tutto nasce dalla decisione del Principe, magari ingiusta e drammatica, oscura e terribile ma decisiva per i destini umani, da King Lear a La vita è sogno, dal gesto sconsiderato del vecchio re a quello di Sigismondo.

Il trono di sangue è il simbolo dello Stato moderno, sinonimo di stato assoluto e quindi di finis Europae nel disegno cristiano. Hegel e Kierkegaard vedono invece in questa nascita tragica il destino d’Europa. Nasce così il romanzo moderno, dal Bildungsroman al romanzo di adulterio a quello storico. Poi l’esplosione attorno al 1830: Stendhal, Balzac, Puškin e Manzoni tra gli altri. Ormai è una repubblica delle lettere che tocca anche il freddo nord borghese e l’est asburgico e persino russo. Solo la letteratura? Ma no, ma no, anche la musica e le arti figurative offrono un’idea di Europa unita culturalmente ma spezzettata in stati nazionali.

E malgrado tutto è “piena”, da Dublino a Praga, a San Pietroburgo; un fiorire di nuove forme narrative, dal melodramma al gotico, dal poliziesco al fantascientifico. Occorre ora rappresentare ciò che si tende a nascondere: sfruttamento, colonialismo, imperialismo ma soprattutto trionfo della modernità. Un Altro dall’Europa va raccontato e il compito viene assolto dalla letteratura di massa e dalla sua fede nella trama mentre l’alta cultura ragiona sull’uomo senza qualità, sull’ambiguità, l’indecisione. Ormai si è aperto il baratro, siamo in pieno Novecento e al compimento del dramma. L’arte diviene superflua, la cultura viene messa da parte dall’Economico, la cultura di massa prevale. L’alta cultura perde la sua funzione critica e di sorveglianza della decisione politica e quindi può sperimentare, vendere l’anima al diavolo. Nulla ormai è proibito all’arte… tanto non conta più nulla. La lingua predominante è l’inglese e l’Europa esce da se stessa. È il tempo di Conrad, della contemporaneità del non contemporaneo, delle Demoiselles d’Avignon e la Sagra della Primavera. Sanguinosa barbarie e tradimento dei chierici, bisogno di mito per le masse che vogliono credersi colte e si sentono perdute a causa delle devastazioni belliche.

Gli Stati nazione sono sempre più deboli e cedono sovranità agli americani. Altro che dibattito su Cristianità o polimorfismo statuale! E oggi?… non vale la pena parlarne.

J.V.

5 maggio

5 maggio

Giornata memorabile… esattamente due secoli fa nasceva Karl Marx. Il 5 maggio 1821 moriva Napoleone. Impossibile parlare di questi due giganti, nel bene e nel male, in poche righe. Su di loro sono stati scritti migliaia di libri e i giudizi sono contrastanti a seconda della prospettiva storica-politica di chi scrive. In futuro proverò a buttar giù una scheda storiografica su entrambi. Oggi mi accontento di ricordarli brevemente per ciò che hanno rappresentato nella mia vita e per una generazione che ha avuto il privilegio di poter studiare seriamente e di sperare in un futuro decente, al contrario di quanto accade in genere ai nostri figli, stretti, tranne rare eccezioni, tra scuole inefficienti, lavori precari, incertezze esistenziali.

Di Marx ho sempre ammirato la tensione etica e il desiderio di offrire dignità ad ogni essere umano. Non è sua responsabilità l’interpretazione scorretta dei suoi scritti da parte di dittatori e altri criminali del Novecento. Gli scritti di Marx vanno letti attentamente e offrono una lucidissima analisi del reale. Mi pare che il pensiero marxiano sia sempre meno conosciuto mentre imperversa la banale vulgata… in linea con la sciatteria dei tempi.

Napoleone rappresenta il merito, la possibilità di affermazione anche per chi non nasce nobile e ricco, attraverso l’istruzione e lo studio, le capacità individuali. Commette molti errori ed alcuni criticano il suo cesarismo. A me affascina più il mito Napoleone che non l’uomo reale, ciò che ci hanno tramandato romanzieri e scrittori, da Stendhal a Dumas, ciò che ha rappresentato per milioni di diseredati e disgraziati. Si ama Napoleone leggendo “Il Rosso e il Nero” e “Il Conte di Montecristo “. Mi piace pensare a Victor Hugo che parla a centomila francesi sotto una pioggia torrenziale il giorno della restituzione della salma dell’Imperatore alla Francia.

Per oggi tutto qui. Si diffida chiunque dalle polemiche… sarebbero scontate e banali; mi preme soltanto ricordare l’importanza del 5 maggio. Le critiche e gli elogi su questi due giganti esigono migliaia di pagine… in ogni caso sono padri nobili del nostro mondo, accomunati dall’idea della dignità che ogni uomo deve possedere indipendentemente dai propri natali. Entrambi mettevano la scuola e lo studio al primo posto, entrambi sapevano che senza scuola pubblica di alto livello non esiste futuro decente.

J.V.

La strage di Portella della Ginestra. Nuovo blog nicoloscialfa.it

La strage di Portella della Ginestra

Primo maggio 1947, a Portella della Ginestra, dietro Palermo, circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riuniscono per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana. Durante il regime fascista il primo maggio non si festeggiava, era stato sostituito dal Natale di Roma, 21 aprile. All’improvviso dal monte Pelavet partono raffiche di mitra. Dopo un quarto d’ora sul terreno si trovano undici morti (otto adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni moriranno in seguito per le ferite riportate. Nei giorni successivi vengono bersagliate a colpi di mitra e bombe a mano le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando un morto e numerosi feriti. Gli attentati vengono rivendicati dal bandito Salvatore Giuliano che invita la popolazione al combattimento contro i comunisti. Alcuni mesi dopo si saprà che a sparare sui contadini a Portella della Ginestra erano stati gli uomini dello stesso Giuliano che verrà ucciso il 5 luglio 1950. Il bandito Gaspare Pisciotta si attribuisce l’omicidio di Giuliano e lancia pesanti accuse contro esponenti politici importanti della DC, in particolare Mario Scelba, a suo dire in combutta con Giuliano nell’organizzazione della strage. Le opposizioni danno battaglia. Il comunista Girolamo Li Causi, deputato comunista, sostiene di aver detto a Giuliano: “ma lo capisci che Scelba ti farà ammazzare? Perché non ti affidi alla giustizia, perché continui ad ammazzare i carabinieri che sono figli del popolo come te?”. Giuliano risponde:”Lo so che Scelba vuol farmi uccidere perché lo tengo nell’incubo di fargli gravare grandi responsabilità che possono distruggere la sua carriera politica e finirne la vita”. Secondo lo storico Nicola Tranfaglia a Portella della Ginestra spararono anche dei lanciagranate in dotazione alla Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, cooptata dai servizi segreti USA preoccupati dell’avanzata social-comunista in Italia.

Il 10 marzo 1948, nelle campagne vicino Corleone, viene ucciso Placido Rizzotto, ex partigiano delle Brigate Garibaldi e sindacalista della Cgil, iscritto al Psi. Rizzotto, coraggioso e audace, è uno dei maggiori dirigenti del movimento contadino siciliano e guida diverse occupazioni di terre incolte. Il mandante del suo assassinio è il dottor Michele Navarra, capo del clan dei corleonesi, e tra gli esecutori materiali del delitto vi è sicuramente Luciano Liggio, allora luogotenente di Navarra. Il cadavere del sindacalista socialista viene ritrovato nel 2009 e, grazie all’esame del DNA, comparato con quello del padre, si ha la certezza che i resti sono quelli di Placido Rizzotto.

Ciò che è certo che a Portella della Ginestra i latifondisti, legati alla mafia, vogliono mandare un messaggio chiaro ai contadini e al movimento sindacale: questa terra è “cosa nostra”; inoltre, sia pur avvolta ancora da nebbia e fumo, una verità storica inizia ad emergere con forza: il predominio di americani ed inglesi sul territorio italiano. Il nostro Paese era ed è rimasto uno Stato a sovranità limìtata. Molti misteri della Storia d’Italia sono in parte comprensibili in una visione globale che ci vede come Paese sconfitto e sottomesso ad altri. Ogni volta che qualche uomo politico ha provato ad alzare la testa è stato immediatamente eliminato con la violenza o col pubblico disprezzo.

Film sulla strage

Francesco Rosi, Salvatore Giuliano (1962)

Michel Cimino, Il siciliano (1987)

Paolo Benvenuti, Segreti di Stato (2003)

Libri sulla strage

Pietro Orsatti, Il bandito della guerra fredda, Imprimatur, 2017

Giuseppe Cassaburea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Bompiani, 2005

Lariano Machiavelli, Noi che gridammo al vento, Einaudi, 2016

J.V.

Appunti sparsi sulla Resistenza. Ricordo che il nuovo blog è nicoloscialfa.it

Appunti sparsi sulla Resistenza

Lotta che ha come obiettivi la sconfitta del nazifascismo e la liberazione del territorio occupato. Resistenza italiana caso emblematico dal momento che è proprio nel nostro paese che nasce il fascismo. Crisi dovuta a sconfitta militare e ad una identità nazionale irrisolta. Linea Gustav spartiacque. Dopo l’8 settembre 43 a nord della linea la durata dell’esperienza resistenziale è variabile: nove mesi per le regioni centrali, venti per le regioni a nord della linea gotica. Policentrismo geografico e varianza temporale, forme militari variegate tra modello francese e jugoslavo. Clandestinità e policentrismo politico-militare. Formazioni Garibaldi legate al partito comunista, Matteotti al Partito socialista, Giustizia e Libertà al Partito d’azione, Fiamme Verdi e Osovane al mondo cattolico. Fenomeno complesso unito dall’antifascismo in un fronte che va dai liberali ai comunisti. Ognuno rinuncia ad una parte identitaria per convergere sul fronte comune della lotta ai nazifascisti. Rapporto difficile con gli Alleati che non gradiscono un fenomeno tanto ingombrante mentre ai resistenti interessa un riscatto dopo la vergogna dell’8 settembre. Antifascismo storico minoritario ed élitario, antifascismo dei giovani, antifascismo della popolazione dovuto all’invivibilità causata dalla guerra, antifascismo operaio e dei braccianti della pianura Padana. Insurrezione militare e di classe sollevano inquietudini tra moderati ed alleati. Non c’è Rivoluzione perché nessuno l’ha preparata ma esiste una forte tensione di classe mal digerita dalla borghesia del nord e dai latifondisti. A questo proposito Renzo De Felice, Rosso e nero del 1995 e Nicola Tranfaglia, Un passato scomodo. Fascismo e postfascismo, Giovanni De Luna-Marco Revelli, Fascismo e antifascismo.

Subito dopo la guerra fascismo demonizzato e Resistenza eroica in chiave popolare e di ricostruzione, ammortizzatore paradossale dei conflitti di classe. Non così al Sud dove Stato e Amministrazione pubblica sono vissuti come fenomeni distanti. Resta comunque un patrimonio di lungimiranza e di impegno come mai si è visto nella Storia d’Italia. Poi crisi del ‘47, rottura dell’unità antifascista, attentato a Togliatti. Poi dura contrapposizione fascismo/antifascismo parallela a comunismo/anticomunismo in clima da guerra fredda. Vulgata resistenziale piegata ad interessi di partito. Distensione internazionale alla fine dei ‘50 e trasformazione del paese tra il ‘58 e il ‘63. Scontri del luglio ‘60 con forte spontaneismo. Nascita del centro-sinistra e nuova attenzione ai temi resistenziali con embrionali grumi di opposizione all’interno del partito comunista stesso, assai agguerriti e critici sui fenomeni derivanti dall’ondata di emigrazione. Uso istituzionale e ingessato della Resistenza in un retorico e vuoto richiamo ai valori nazionali. Esplosione dello scontro nel 1968/69 dove si giunge a parlare di tradimento della Resistenza e di doppia verità dei partiti. Poi strage di Piazza Fontana il 12 dicembre 1969 radicalizza lo scontro. Nasce l’antifascismo militante con derive minoritarie insurrezionali. Elezioni del ‘75/76 favorevoli alla sinistra ma forti tensioni dovute ad instabilità politica e dura contrapposizione tra partito comunista e gruppi extraparlamentari. Poi uccisione di Aldo Moro e politica emergenziale foriera di drammatiche conseguenze. Debito pubblico enorme e crisi lancinante. Politiche conservatrici e svuotamento dell’antifascismo. Uccisione di Guido Rossa ad opera delle Brigate Rosse e difesa della democrazia da parte dei sindacati e dei partiti storici. Leggi eccezionali e clima da stato d’assedio. Avanzata di soggetti altri come TV e mass media, sconfitta delle sinistre, posizioni difensive dell’antifascismo, ondata revisionista proveniente dalla Germania, dibattito peloso sulla Shoah. Poi finalmente Claudio Pavone, Una guerra civile, libro che fa chiarezza e mette un punto fermo, con poche certezze ma capace di sfatare miti e tabù. Altri contributi sono di tipo letterario, da Calvino a Cassola, da Revelli a Levi e contribuiscono alla formazione di un immaginario resistenziale. Anche il cinema fa la sua parte con Rossellini, De Sica, Lizzani per citarne alcuni.

Importante lavoro degli Istituti storici della Resistenza. Fondamentale il tema della memoria e della trasmissione orale.

Dibattito serrato su Patria e Nazione. Citiamo tra gli altri Bobbio, Scoppola, Cotta, De Luna, Revelli e, soprattutto, Rusconi. Segnalo en passant come pessimo esempio di faziosità Ernesto Galli della Loggia, La morte della Patria del 1996.

Per orientarsi

R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, 1953

G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, 1966

A. Bravo, A.M. Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne, 1940-45, Laterza, 1995

E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata, 1943-45. Studi e documenti. Lerici, 1963

D.W. Ellwood, L’alleato nemico, Feltrinelli, 1977

L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-45, Bollati Boringhieri, 1993

A.Mignemi (a cura di), Storia fotografica della Resistenza, Bollati Boringhieri, 1995

G. Quazza, Fesistenza è Storia d’Italia, Feltrinelli, 1976

J.V.

Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza Di Claudio Pavone. Nuovo blog nicoloscialfa.it

Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza

Di Claudio Pavone

A oltre mezzo secolo di distanza è ormai convinzione comune che occorra un ripensamento della Resistenza, sulla quale tutti mostriamo troppo facili certezze. Si tratta, soprattutto, di riconoscere a questi fatti la loro dignità di grande evento storico, sottraendoli ai ricorrenti rischi della retorica celebrativa o alle strumentalizzazioni di parte spesso riduttive e liquidatorie. Il libro affronta temi cruciali legati al passaggio dall’Italia fascista all’Italia del dopoguerra visti sotto il profilo della “moralità” operante nei protagonisti. Nell’analisi degli eventi tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, Claudio Pavone distingue tre aspetti: la guerra patriottica, la guerra civile e la guerra di classe – «tre guerre» che sono spesso combattute dallo stesso soggetto – introducendo così una novità interpretativa in grado di cogliere tutte le sfumature e di attraversare orizzontalmente una realtà storica di estrema complessità. Gli argomenti presi in esame – tra i quali l’eredità della guerra fascista, il dissolversi delle certezze istituzionali, le fedeltà e i tradimenti, il valore fondante della scelta, il rapporto fra le generazioni, l’utopia e la realtà, il grande nodo del la violenza – ci costringono a riflettere su alcune questioni brucianti e sempre attuali, prima fra tutte quella del rapporto tra la politica e la morale nella vicenda storica. (Dalla prefazione)

Claudio Pavone muore a novantasei anni, nel novembre 2016. Archivista, associato all’università di Pisa, partigiano, intellettuale fuori dagli schemi, profondo conoscitore della macchina dell’amministrazione statale, uomo lontano dalla retorica, pragmatico ed intellettualmente onesto. Il libro suscita polemiche per la nozione di “guerra civile”, distante dalla vulgata sovietica di “guerra patriottica”, ma grazie a Pavone il dibattito sulla Resistenza assume maggiore dignità. Secondo l’ex comandante partigiano Nuto Revelli, che – pur elogiandolo come «un lavoro straordinario che ci ha liberati da tutta la retorica che si era depositata sulla resistenza», sostiene « Non fu una guerra civile nel senso pieno del termine perché i fascisti per noi erano degli stranieri come e forse più dei tedeschi, li odiavamo più di quanto non odiassimo i tedeschi. […] Perché in loro c’era una ferocia, se è possibile, ancora più insensata; era inconcepibile che degli italiani si degradassero fino a terrorizzare, torturare, ammazzare gente che magari aveva le stesse radici, con la quale erano cresciuti assieme. » ma in realtà in questo modo Revelli, inconsapevolmente, rafforza la tesi di Pavone. Mentre Vittorio Foa condivide l’impostazione dell’autore «Sono sempre stato irritato di fronte a chi negava il carattere di guerra civile alla lotta partigiana. Diversamente da altri che avevano drammaticamente scelto durante quei mesi se fare il partigiano o meno, io avevo già scelto. Per me i fascisti esistevano già prima e non erano semplici marionette dei tedeschi».

Al netto delle critiche positive e negative siamo di fronte ad un’opera importante per comprendere la nostra Storia, riflettere sull’uso strumentale del passato e capire che il nostro futuro può fondarsi soltanto su un serio dibattito storiografico e non su slogan e pregiudizi.

Segnalo alcuni film sulla Resistenza. Elenco scarno e scontato ma sempre attuale:

Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini

Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Maria Michi, Marcello Pagliero, Nando Bruno

Paisà (1946) di Roberto Rossellini

Con William Tubbs, Harriet White, Gar Moore, Carmela Sazio, Dots M. Johnson

Achtung! Banditi! (1951) di Carlo Lizzani

Con Gina Lollobrigida, Andrea Checchi, Lamberto Maggiorani, Vittorio Duse, Pietro Tordi

Il generale Della Rovere (1959) di Roberto Rossellini

Con Vittorio De Sica, Sandra Milo, Vittorio Caprioli, Hannes Messemer, Giovanna Ralli

Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini

Con Alberto Sordi, Eduardo De Filippo, Serge Reggiani, Martin Balsam, Nino Castelnuovo

Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy

Con Gian Maria Volonté, Aldo Giuffré, Lea Massari, Jean Sorel, Georges Wilson

La notte di San Lorenzo (1982) di Paolo e Vittorio Taviani

Con Omero Antonutti, Claudio Bigagli, Margarita Lozano, Massimo Sarchielli, Graziella Galvani

I piccoli maestri (1997) di Daniele Luchetti

Con Stefano Accorsi, Stefania Montorsi, Marco Paolini, Giorgio Pasotti, Diego Gianesini

Il partigiano Johnny (2000) di Guido Chiesa

Con Andrea Prodan, Stefano Dionisi, Claudio Amendola, Alberto Gimignani, Fabrizio Gifuni

L’uomo che verrà (2009) di Giorgio Diritti

Con Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Stefano Bicocchi

J.V.

I Barbari. Ricordo il nuovo blog nicoloscialfa.it

I Barbari

Völkerwanderung (migrazioni di popoli) o invasioni barbariche? Tacito, Germania, li descrive come modello di stile di vita semplice e non corrotto dalla civiltà mediterranea. Costruzione ideologica sposata anche da Montesquieu e poi dai Romantici, dai nazionalisti tedeschi antimoderni e militaristi del novecento per giungere ai nazisti e alle loro funeste teorie sulla presunta superiorità della razza tedesca che ebbero come conseguenza la Shoah. Come si vede la Storia è sempre Storia Contemporanea.

Quali sono le fonti delle culture barbariche? Traduzione gotica della Bibbia del vescovo Ulfila nel IV secolo recepita da Teodorico nel VI secolo (Codex argenteus). Il goto Jordanes, sempre nel VI sec., il burgundo Fredegario nel VII, l’anglosassone Beda e il longobardo Paolo Diacono nell’VIII. Tutti questi storici adottano il latino e il punto di vista dei classici. Soltanto più tardi nasceranno Beowulf e le saghe nordiche, l’Edda e gli eroi pagani. In realtà ciò che sappiamo sui Barbari è di derivazione greco-latina. Barbaro (straniero) selvaggio, sporco, nomade, puzzolente è lo stereotipo. Secondo la vulgata bevono sangue e sono coraggiosi ma temerari e vengono sconfitti dalle legioni romane organizzate e disciplinate. Oppure vengono descritti come nobili selvaggi dotati di virtù primordiali dell’anima del popolo (Volksseele). Sono costruzioni stereotipate. In realtà lo studio delle tombe dimostra che i barbari si circondavano di oggetti non differenti da quelli delle classi dirigenti romane. La frontiera non era invalicabile, era più simbolica che reale, linea militare ma anche zona di scambio e di fascinosa attrazione. Un sistema dinamico di interazione, relazioni ed alleanze, assimilazione e mutamento di usi e costumi. Un popolo come unità linguistica e culturale ben delineata rappresenta l’eccezione, non la norma. Archeologia e filologia non attribuiscono i propri materiali a raggruppamenti umani “naturali”. Cos’è un popolo? Una realtà soggettiva. I Germani forse non sono mai esistiti e se esistevano non corrispondono a ciò che chiamiamo così. Il termine “Germani” viene coniato da Giulio Cesare. Prima di lui esistevano soltanto celti e sciti. Cesare ha interesse per motivi politici e di conquista ad accentuare le diversità e le conseguenti paure. Nascono così i Germani, soprattutto su base linguistica. In epoca carolingia si ha coscienza che le lingue germaniche sono apparentate. Questa lingua vernacolare viene chiamata Teotisca, che significa popolare, e da qui deriva tedesco, termine che designa tanto gli anglosassoni che i longobardi. Rotture e contraddizioni impediscono uno sviluppo diretto dai Germani antichi ai moderni. Differenti terminologie. Gli inglesi chiamano Germans i tedeschi, malgrado essi stessi siano prevalentemente di origine germanica; i francesi e gli spagnoli li chiamano allemands dal nome di uno dei principali popoli tedeschi, gli Alamanni; gli slavi usano il termine Nemeci, muti, in contrapposizione con gli slavi stessi, coloro che parlano. Le etnogenesi sono complesse. Secondo la Bibbia tutti i popoli del mondo derivano dai tre figli di Noè. Nel Medioevo sorgono le leggende più disparate sull’origine dei popoli. Una discussione ancora aperta. Meccanismi di memoria e oblio, Storia e invenzione, letture ideologiche dove si incontrano storia medievale ed esigenze del presente. Illuministi e Romantici scorgono la società democratica nei Germani. Engels parla di passaggio dall’Urkommunismus (Comunismo primitivo) alla democrazia militare. In genere nell’Ottocento si contrappone la libertà germanica alla schiavitù romana e si parla di Genossenschaft (società coesa e sacrale) con due re, uno sacrale, Sakralkönig, uno militare sul tipo di Ariovisto o di Arminio. In realtà questi sovrani esercitavano un potere militare autoritario e protettivo su clientele, parentele, clan e le alleanze di queste famiglie erano assai mutevoli.

I movimenti di Barbari iniziano nel III secolo vicino alla Vistola, dove sono stanziati i Goti. Si spostano a sud verso l’Ucraina. Saccheggiano i Balcani e l’Asia minore. Nel 375 sconfiggono gli Unni, attraversano il Danubio e arrivano in Italia. Alarico mette a sacco Roma nel 410, Teodorico giunge nel 489 e fonda il suo regno con capitale Ravenna. Un altro popolo che giunge dai Carpazi sino al Mediterraneo è quello dei Vandali. In Germania occidentale si trovano Franchi ed Alamanni, a nord e sud del Meno. Il regno unitario Franco nasce su suolo romano con Clodoveo, governatore franco della provincia Belgica. Il battesimo di Clodoveo è datato nel 496, chiaro segno simbolico di integrazione, enfatizzato nel 1996 da Parigi in occasione del supposto millecinquecentesimo anniversario della conversione.

Dietro Franchi ed Alamanni troviamo altri popoli: Longobardi che giungono in Italia nel 568, Turingi, futuri alleati di Teodorico, Burgundi. Dal VI secolo inizia il consolidamento etnico dei popoli sottomessi dai Franchi. Il risultato è la nascita del popolo francese, mentre, a partire dal X secolo, nella parte germanica del regno franco si consolidano bavaresi, alamanni e sassoni. I sassoni si dirigono in Britannia e sostengono le popolazioni celtiche romanizzate contro i Picti scozzesi. Nascono i regni germanici in Britannia: Wessex, Mercia, Northumberland. L’Irlanda pagana viene evangelizzata da San Patrizio nel V secolo. L’attività missionaria tra VI e VIII secolo sarà massiccia in Europa centrale. In Scandinavia, terra originaria di Goti e Longobardi, i pirati vichinghi dall’VIII secolo iniziano la loro attività predatoria. Nelle immense steppe euroasiatiche dalla Cina ai Carpazi, sino all’Ungheria, si sviluppa il nomadismo basato sul cavallo. Emerge la figura terribile del guerriero della steppa, spietato e crudele, abilissimo cavaliere. Questi eserciti di guerrieri nomadi fondano imperi anche vastissimi ma poco longevi a causa di mancanza di serie strutture. Attorno al 450 gli Unni di Attila dominano l’Europa orientale e vivono grazie ai tributi pagati da Roma. Dopo la morte di Attila l’impero unno crolla miseramente. Stessa sorte spetta agli Avari, anche se sopravviveranno sino al tempo di Carlomagno. Da ricordare infine la lenta e massiccia espansione degli slavi. Tra il VI e il VII secolo assistiamo alla romanizzazione dei barbari e alla loro integrazione nelle strutture politico-istituzionali romane in Spagna e Gallia e Italia. In Europa centrale e orientale le popolazioni romane si barbarizzano. Una nuova civiltà sta maturando: l’Europa medievale.

J.V.

La caduta dell’impero romano. Ricordo nuovo blog nicoloscialfa.it

La caduta dell’impero romano

Dopo Teodosio parte occidentale sempre più in crisi. Non vi è percezione del mutamento in un mondo lento. Noi siamo abituati alla velocità scatenata dalla rivoluzione industriale, gli antichi vivono in un mondo lento. Lento ma non immobile. Esiste cospicua differenza tra l’età di Antonino Pio e quella di Romolo Augustolo (ironia della Storia, primo re e primo imperatore). Piano piano però cresce la consapevolezza del tramonto, della fine di un mondo. L’Italia paga il prezzo più alto tra V e VIII secolo. Campagne incolte e deserte, città spopolate, Roma passa da un milione di abitanti a 20.000 anime vaganti tra le macerie. L’Occidente perisce, l’Oriente si salva per ancora un millennio. I barbari oltrepassano il limes, i Visigoti saccheggiano Roma nel 410, Agostino percepisce la fine del mondo. Il 476 è una data simbolica che indica la morte della parte occidentale. Crisi iniziata nel III secolo. Sforzi di Aureliano, Diocleziano, Costantino, tentativo coraggioso di Giuliano, presa d’atto di Teodosio. Imperium Romanum Christianum. Decadenza spiegata da Gibbon, Taine, von Wilamowitz, Rostovzev con occhi puntati sul loro tempo (la Storia è sempre storia contemporanea). Scrivono della fine di Roma ma pensano pessimisticamente alla fine del loro mondo. Poi scontro nazionalista tra il francese André Piganiol (Impero Romano ucciso dai barbari come la Francia occupata dai nazisti) “La Civilisation romain n’est pas morte de sa belle mort. Elle a été assassinée” e Cartellieri sostenitore della superiorità teutonica.

Poi un bellissimo libro sbagliato di Henri Pirenne, Maometto e Carlomagno. Poi la definizione di mondo tardo antico che attenua la frattura tra mondo Antico e Medioevo. Perché, si chiedono Rostovzev e Walbank tra gli altri, l’impero degli Antonini non è proseguito linearmente sino al XX secolo? E abbiamo invece avuto decadenza, Medioevo, Rinascimento e mondo moderno? Rostovzev è un esule russo in fuga dagli orrori della guerra civile, pessimista e disilluso; Walbank un marxista inglese convinto, dopo la seconda guerra mondiale, di trovarsi agli albori di una nuova epoca. Eppure i due sono in linea su un punto: perché non fu possibile un passaggio graduale? Perché si produsse la catastrofe? Instaurazione del Principato e sistema di produzione schiavile sul banco degli imputati. Costruzione di un ordine universale costosissimo, modello aristocratico poco virtuoso e parassitario legato alla rendita. Anelasticitá strutturale e conseguente frattura.

Guerre difensive con rara eccezione di Traiano. Una catastrofe al rallentatore. Universalismo imperiale insostenibile, stallo produttivo. Storia di Roma che si avvia a divenire storia d’Europa. Percezione della crisi e della fine del mondo condivisa da pagani e cristiani. Storia, escatologia e profetismo viaggiano nella stessa direzione. Chiusura imperiale, grandezza in forme chiuse, schiavi, tecnologia insufficiente, visione ciclica della storia. Marx descrive la bellezza della durata del mondo antico in pagine stupende. Ma quella bellezza è anche il limite degli antichi romani: il loro limite è il margine estremo del Tempo e della Storia. Un grande stato assolutistico, militare, burocratico; una macchina pesante e difficile da gestire come ben capiscono alcuni grandi imperatori. Cristianesimo postcostantiniano e dualismo del potere, controllo dei vescovi sulla macchina, codice Teodosiano potente divaricatore tra classi aristocratiche e sudditi. Cristianesimo soteriologico e dottrina alternativa alla forza del diritto romano… In hoc signo vinces. Il dualismo resiste ancora oggi: anima e corpo, da Paolo a Cartesio, da Agostino a Kant (e non si illudano i fanatici del Progresso… extra Epistemologiam nulla salus). Leggerezza dell’io opposta alla pesantezza del corpo, residui platoniani e plotiniani. Cristo erede dello spiritualismo idealistico classico. Il nodo diviene inestricabile e ancora oggi non riusciamo a scioglierlo.

Fine dell’unità mediterranea. Dopo il collasso del V secolo il Mediterraneo diviene un confine, un limite. Occidente e Oriente si divaricano, l’unità si rompe definitivamente. La catastrofe occidentale indirizza verso la Modernità, Oriente verso l’Islam e Bisanzio. Due idee restano vive in Occidente: città e Italia. Da queste due forme mentali si ricomincia.

J.V.